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UN PO’ DI STORIA….. AIUTA

 

Nel 1992, ci fu l’ultima svalutazione della Lira. Anche allora, prima che accadesse, l’evento veniva descritto dalla maggior parte dei media come la catastrofe dell’Italia. Ma come andarono in realtà le cose?

 

Allora non esisteva l’Euro, esisteva il serpente monetario europeo con una sorta di valuta di riferimento, l’ECU, a cui le varie valute nazionali aderenti al sistema dovevano essere agganciate, entro una percentuale di scostamento non superiore al 3% per alcune e 5% per altre, fra cui la Lira.

Le varie economie europee anche allora erano più o meno forti e, come oggi, più o meno ben gestite dai governi degli stati. Anche allora, come oggi, la Germania poteva vantare un’economia più solida di altri, con un sistema produttivo industriale di assoluta avanguardia e con una moneta forte che in pratica faceva da riferimento per tutte le altre economie.

 

L’Italia non era certo la cenerentola europea ma, come ben sappiamo, la propria economia doveva adattarsi continuamente alle conseguenze di una gestione del paese sconsiderata, miope e orientata al breve termine, frutto di una incompetenza della classe politica piuttosto diffusa, allora come oggi, prevalentemente orientata alla divisione della torta piuttosto che alla sua creazione.

I regali che allora la politica faceva più o meno a tutte le classi sociali, in particolare statali, lobby e caste varie generava un continuo aumento del costo del lavoro che a sua volta determinava una continua perdita di competitività del sistema produttivo italiano a cui si doveva far fronte con ripetute svalutazioni della Lira. Qualche trauma queste svalutazioni lo generavano ma in breve tutto si riequilibrava, fino alla successiva.

 

Negli anni precedenti il 1992 c’erano stati degli accordi più forti fra gli stati, che avevano l’obiettivo di stabilizzare i cambi fra le valute europee aderenti allo SME. L’Italia vi aderì con la solita faciloneria ma, in mancanza di politiche di contenimento della spesa pubblica, pur partendo da un cambio che garantiva inizialmente competitività al nostro sistema industriale, dopo pochi anni si arrivò alla solita situazione. La gran parte delle aziende italiane, sia grandi che piccole, non ce la faceva più a competere nel mercato per cui o venivano tagliate fuori dalla concorrenza estera oppure, per non perdere quote, vendevano sotto costo in attesa di tempi migliori, ovvero attendevano la successiva svalutazione.

 

La situazione delle aziende italiane nell’estate del 1992 era generalmente molte difficile. Per quelle export oriented poi, era proprio insostenibile.

 

L'Europa era in pieno panico da referendum danese, con il rischio che un no alla ratifica del trattato di Maastricht innescasse un effetto a valanga sugli altri paesi. Il mercato prese a sparare alla rinfusa e le monete meno forti furono le prime a cadere sotto i colpi della speculazione: la peseta e la Lira, prime tra tutte. La situazione economica italiana – osservò Amato nel presentare il suo governo alle Camere – è di particolare gravità, sia per la finanza pubblica che per le strutture portanti del sistema. In assenza di correzioni, dietro l'angolo non c'è l'uscita dall'Europa, il rifugio in un'impossibile autarchia, ma il rischio di diventare una Disneyland al suo servizio, arricchita dal nostro clima, dalle nostre bellezze naturali, dalle vestigia della nostra storia e della nostra arte.

 

Con il debito pubblico al 105,2% del Pil (nel 1982 era al 64%), con il fabbisogno che viaggiava attorno al 10,4%, con il passivo della bilancia dei pagamenti di parte corrente in crescita, stavamo attraversando la più grave crisi dopo quella del 1947, all'epoca di Corbino e Einaudi, quando si discuteva se cambiare moneta, l'inflazione era alle stelle, il paese distrutto. La crisi finanziaria era alle porte. L'antipasto venne servito il 10 luglio con una manovra correttiva da 30mila miliardi delle vecchie lire, con tanto di patrimoniale del 6 per mille sui depositi bancari e postali. Una scelta dolorosa ma obbligata, e comunque non pari all'alternativa che mi era stata prospettata, quella di aumentare di un punto l'Irpef, sottolinea Amato. Dalla Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi metteva mano alle riserve, aumentava il tasso di sconto, ma per sua stessa ammissione la credibilità del paese sui mercati internazionali aveva ormai toccato il suo minimo storico. Proprio in quelle settimane, Amato giocò la carta della politica dei redditi. L'intesa con le parti sociali che spediva in soffitta la vecchia scala mobile venne raggiunta la sera del 31 luglio. Determinante fu il voto favorevole di Bruno Trentin, che subito dopo partì per le vacanze con la lettera di dimissioni in tasca.

 

Si ricordano i sermoni dell’allora direttore della Banca d’Italia, Carlo Azelio Ciampi che si sgolava ogni giorno per ribadire che l’Italia non doveva svalutare e che una valuta forte obbligava l’amministrazione pubblica ad essere più virtuosa mentre l’industria privata avrebbe dovuto orientare gli investimenti verso le produzioni ad alto contenuto tecnologico con elevato valore aggiunto.

 

Il tutto condito dal preannuncio di sventure per l’Italia, se avessimo svalutato la nostra Lira per l’ennesima volta. A Ciampi si univa costantemente, anche allora, il forte coro di tanti politici e di tutti coloro che, da una Lira forte, avevano certamente vantaggi, quali certe oligarchie economiche nazionali monopoliste, i possessori di capitali non ancora tramutati in valuta estera e la finanza in generale, specie quella che aveva interessi a livello internazionale.

 

Si paventarono tassi di inflazione annui a 2 cifre, perdita di fiducia dell’Italia nei mercati internazionali, bilancia commerciale ancora più in deficit, causa l’aumento dei costi delle importazioni, insomma miseria e perdita di valore per tutti. Nonostante la sciagurata ostinazione di Ciampi, ancora oggi ben onorato per i suoi servigi resi alla nostra repubblica, la Lira dovette essere svalutata. Dopo aver esaurite tutte le riserve della Banca d’Italia, in un’ostinata difesa di una parità monetaria insostenibile, ci fu un vero e proprio tracollo della Lira. In termini numerici il marco, che ad agosto 1992 quotava 750 lire per 1 marco, arrivò a fine ottobre  a ben 1300 lire, per poi stabilizzarsi sui 1.050 dopo alcuni mesi. La Lira in 3 mesi perse il 40% circa del suo valore antecedente rispetto al marco tedesco.

 

Vano fu anche l'ennesimo tentativo della Banca d'Italia che portava il tasso di sconto al 15%, un livello mai raggiunto dal 1985. A partire da giugno gli interventi a sostegno della Lira avevano raggiunto i 48 miliardi di dollari. E a fine agosto all'asta dei Bot erano rimasti invenduti titoli per 3.300 miliardi. La sera del 13 settembre, Amato comunicava in diretta tv agli italiani la svalutazione della Lira che a conti fatti – rievoca Amato– si attestò tra il 20 e il 25 per cento. Grazie all'accordo di luglio, tenemmo fermissimo il controllo dei costi interni, il che permise alle imprese di guadagnare 20-25 punti veri di competitività.

 

Il sig. Carlo Azelio Ciampi alla fine della miope difesa della Lira esaurì circa 96 mila miliardi di riserve in valuta per ritrovarsi in cambio una Lira svalutata. Il finanziere internazionale Soros dichiarò che era facilissimo speculare contro la Lira: “era sufficiente osservare gli interventi Bankitalia a mercato aperto nel servire valuta e acquistare lire”.

Se il governo Amato avesse svalutato subito si sarebbe trovato in Bankitalia riserve pregiate in valuta e avrebbe evitato le famose lacrime e sangue alle quali il popolo italiano troppe volte è stato sottoposto.

 

I premi istituzionali elargiti per la grandiosa opera (succedette proprio al governo Amato) li potete consultare al seguente link  http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Azeglio_Ciampi .

Lo stesso trattamento fu riservato al sig. Amato la cui carriera è consultabile al seguente link: http://it.wikipedia.org/wiki/Giuliano_Amato .

 

Quali danni provocò al sistema finanziario italiano quella caduta del valore della Lira.

 

Alle banche piccole, medie o grandi non internazionalizzate non provocò nessun danno in quanto avevano impieghi e raccolta in lire e lo stesso fu per tutte le istituzioni, pubbliche e private, non indebitate in valuta estera. In ogni caso non ci furono fallimenti tali da determinare danni rilevanti alla finanza. Fortunatamente allora la globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia erano agli albori e c’era ancora l’idea diffusa che per guadagnare il pane, o di più del pane, si doveva lavorare sodo, magari rischiando il proprio patrimonio accumulato.

Qualcuno indebitato in valuta ovvero in Ecu ebbe bisogno di un po’ di tempo per riprendersi ma, normalmente, chi era indebitato in questo modo lavorava per l’estero e poteva contare su futuri incassi in valuta che generavano utili tali da compensare le perdite; unica eccezione i cittadini (sempre i soliti!), con mutuo in valuta suggerito da valenti funzionari bancari, ovviamente più conveniente per risparmiare sugli interessi: “la tua banca è diversa”.

 

Ma cosa accadde nell’economia reale e nei prezzi dei beni che i cittadini acquistavano normalmente per soddisfare i propri bisogni primari o voluttuari?

 

Per quelli prodotti in Italia, che allora erano la stragrande maggioranza, gli incrementi dei prezzi seguirono un trend di incrementi poco più del normale complice l’incidenza delle materie prime importate che, quasi sempre, sono una componente bassa del prezzo finale dei beni con queste prodotti. Anche la benzina ebbe un aumento ben minore dell’incremento del costo del petrolio in lire dovuto alla svalutazione.

Per quanto riguarda poi i beni voluttuari d’investimento, quali automobili o elettrodomestici di provenienza estera anche qui ci fu un incremento abbastanza modesto. Le aziende estere presenti in Italia pur di non perdere troppe quote di mercato in favore delle industrie italiane accettarono di ridurre di molto i propri margini di guadagno nel nostro mercato. Anzi, nel settore auto, molte case straniere (a loro dire) vendettero per alcuni anni addirittura sottocosto, pur di non consegnare il mercato italiano in ampia prevalenza al costruttore nazionale.

 

La tanto temuta inflazione a 2 cifre non ci fu e nell’arco di meno di 2 anni si stabilizzò ai valori soliti.

 

Cosa successe invece all’economia reale italiana, composta da piccole e medie industrie export oriented, ancora molto dinamiche, anche se un po’ prostrate dalle difficoltà affrontate negli anni precedenti il 1992?

 

Ebbene per chi non lo sapesse, per queste, gli anni seguenti furono quelli che ancora oggi si possono ricordare come gli ultimi del miracolo industriale italiano. Il lavoro per le aziende italiane riprese a tutta birra, dapprima e per ovvie ragioni per quelle esportatrici poi, con un certo sfasamento, per tutto il tessuto industriale italiano. Il portafoglio ordini era sempre gonfio e in crescita, gli investimenti delle imprese ripresero freneticamente, gli utili si gonfiarono come da anni non si ricordava e l’occupazione nell’economia reale ebbe un vero e proprio boom.

 

Inoltre, buona parte delle lavorazioni del manifatturiero che avevano cominciato a prendere la via della delocalizzazione rientrarono precipitosamente per le ottime condizioni di competitività che l’Italia aveva riconquistato. L’economia reale italiana visse dopo il 1992 gli ultimi anni di grande splendore, fatto che stranamente non viene registrato né ricordato negli annali della nostra storia come tale, in quanto offuscato dalla vicenda della svalutazione, ritenuta ben più degna di menzione e di cui doversi vergognare.

Finanziariamente parlando, il 1992 è ricordato come l’anno della disfatta dell’Italia ma il vero effetto negativo fu che il valore del nostro PIL calò bruscamente al livello che gli competeva.

 

Questo fu un disastro per la stragrande maggioranza degli italiani?

 

Assolutamente no. Infatti, per effetto della svalutazione e la successiva forte ripresa dell’economia reale, la ricchezza vera degli italiani aumentò di molto negli anni seguenti il 1992 anche se il PIL nazionale, espresso in USD o ECU, ebbe bisogno di molti anni per riprendere i precedenti valori. Ciò è stato considerato una iattura dagli uomini della finanza ma per tutti gli altri non è certo stato così. In quegli anni il benessere diffuso aumentò di molto in parte, per questa volta, anche a discapito delle oligarchie finanziarie.

 

In questi giorni di passione che stiamo vivendo, la preoccupazione di tutti, perfino di chi non ha nulla da perdere, è sulla sorte di questo sistema finanziario globale in accertato complessivo stato di iperdefault tecnico. Poco o nulla si dibatte se il suo salvataggio è veramente possibile e a quale prezzo per i destini della maggioranza delle persone. Si paventano ogni sorta di catastrofi, al cui confronto quelle dell’allora governatore di Bankitalia Ciampi erano pioggerelline.

 

In realtà si cerca in tutti i modi di mantenere in vita un sistema finanziario marcio che vuole salvaguardare i privilegi dei pochi e dei peggiori, ovvero di quelli che nulla fanno per il miglioramento del bene comune ma che agiscono solo per il loro smodato interesse personale e la propria bramosia di potere. In più si può dire che anche le soluzioni e misure che la classe finanziaria sta ultimamente imponendo agli stati sono più un fattore di moltiplicazione del disastro, che è stato attuato con il loro determinante contributo, piuttosto che una soluzione dei problemi.

 

Bisogna anche dire che il perverso intreccio finanziario globalizzato che è stato creato è talmente inestricabile che può avere una sola vera soluzione. Il collasso globale per poi ripartire di nuovo e con nuove regole, o meglio con auspicabili molte restrizioni che taglino le unghie agli avventurieri che usano i soldi che gli altri hanno guadagnato con il sudore della loro fronte.

 

Come? Si vedrà prima o poi; dal canto nostro  cercheremo di indicare una strada nel proseguo del nostro viaggio. I malefici gatti della finanza hanno dimostrato di avere un numero di vite imprecisato e ben superiore a sette. Però l’auspicio  è che anche che la finanza possa diventare più etica e al servizio della gente onesta e laboriosa. In fondo sognare non costa nulla e fa vivere meglio.

 


 

 
 
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